IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
             Sezione staccata di Latina (Sezione Prima) 
 
    ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso n. 832 del  2016
R.G., proposto da Annunziata Palazzi, rappresentata  e  difesa  dagli
avvocati  Sebastiano  Aurilio  e  Pietro   Romano   e   elettivamente
domiciliata presso lo studio dell'avvocato Iucci in Latina, via Malta
n. 7; 
    Contro  il  Comune  di  Roccasecca,   in   persona   del   legale
rappresentante pro  tempore,  rappresentato  e  difeso  dall'avvocato
Giovanni  Rossini  e  elettivamente  domiciliato  presso  lo   studio
dell'avvocato F. Paolelli in Latina, viale dello Statuto n. 19; 
    per   l'annullamento,    previa    sospensione    dell'esecuzione
dell'ordinanza di demolizione n.  112  del  16  settembre  2016,  del
provvedimento prot. n. 10027 del 15 settembre 2016,  recante  diniego
di accertamento di conformita', del provvedimento prot. n.  3845  del
15 aprile 2011, recante  determinazione  dell'oblazione  ex  art.  36
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380  e  22,
comma 2, lettera a) della legge regionale  11  agosto  2008,  n.  15,
della nota prot. n. 1763 del  4  marzo  2014,  recante  preavviso  di
rigetto della istanza di accertamento di conformita', e di ogni altro
atto presupposto, connesso e/o conseguente nonche' per l'accertamento
della   non   debenza   dell'oblazione   cosi'    come    determinata
dall'amministrazione o, in via subordinata, per  la  rideterminazione
della  medesima  e  per   la   condanna   dell'amministrazione   alla
restituzione della somma di euro 2.345,15, oltre accessori. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio   del   Comune   di
Roccasecca; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21  settembre  2017  il
dott. Davide  Soricelli  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Con il ricorso all'esame la ricorrente impugna  gli  atti  di  un
procedimento avente ad oggetto l'accertamento di  conformita'  di  un
fabbricato realizzato in via Revali. 
    La vicenda e' del tutto peculiare,  dato  che  l'edificazione  e'
avvenuta in base a un permesso di costruire falsificato da un tecnico
alla quale la ricorrente  si  era  in  buona  fede  affidata  per  la
gestione  della  «pratica»  (e  infatti  questo  soggetto  e'   stato
condannato  in  sede  penale  per  falso  e  truffa  ai  danni  della
ricorrente, l'estraneita' della  quale  alla  falsificazione  risulta
altresi' dalla  circostanza  che  anch'ella  e'  stata  sottoposta  a
procedimento  penale  per  falso  ma  tale  procedimento   e'   stato
archiviato). 
    Comunque, la ricorrente, essendo stato il  fabbricato  realizzato
(tra l'altro ella ha anche corrisposto al comune  la  somma  di  euro
2.345,15 a titolo di  oneri  concessori  dovuti  in  correlazione  al
permesso falsificato), in data 1° marzo 2011 ha presentato istanza di
accertamento di conformita'. 
    Nel presupposto che la sanatoria fosse possibile (sussistendo  la
cd. «doppia conformita'»), il  comune  subordinava  il  rilascio  del
permesso al pagamento  dell'oblazione  prevista  dall'art.  22  della
legge regionale 11 agosto 2008, n. 15 che quantificava in euro 55.470
(cioe' in misura pari al valore dell'opera abusiva da sanare). 
    La ricorrente quindi  contestava  l'operato  dell'amministrazione
sostenendo di non essere tenuta al pagamento  dell'oblazione  essendo
ella del tutto estranea (e anzi vittima) dell'abuso che altri avevano
commesso. 
    Il comune, tuttavia,  non  recepiva  gli  assunti  della  signora
Palazzi, per cui - dopo averle inoltrato un preavviso  di  rigetto  -
adottava i provvedimenti impugnati, cioe' il diniego di  accertamento
di conformita' (per mancata corresponsione dell'oblazione) in data 15
settembre 2016 e il  conseguente  ordine  di  demolizione  dell'opera
realizzata il successivo 16 settembre 2016. 
    Di qui il ricorso all'esame  con  cui  la  ricorrente  impugna  i
provvedimenti indicati denunciando sotto vari profili la violazione e
falsa applicazione delle disposizioni degli articoli  3  e  28  della
legge 30 novembre 1981, n. 689, degli articoli 12,  comma  1,  e  22,
comma 2 lettera a) della legge regionale 11  agosto  2008,  n.  15  e
degli articoli 3 e 97 C. 
    La   ricorrente,   anzitutto,   muovendo   dalla   qualificazione
dell'oblazione come sanzione amministrativa, sostiene che la  pretesa
del comune e' radicalmente priva di  presupposti;  in  altri  termini
ella sostiene che, poiche' non ha commesso alcun abuso  ma  e'  stata
addirittura vittima di un illecito compiuto da altri, non  vi  e'  il
presupposto per applicare sanzioni, poiche' l'illecito amministrativo
presuppone l'elemento soggettivo che qui  manca  del  tutto;  insomma
all'elemento oggettivo dell'illecito (la realizzazione del  manufatto
in  difetto  di  permesso  di  costruire)  non  corrisponderebbe   il
necessario elemento psicologico; la  ricorrente  invoca  al  riguardo
(oltre alla previsione generale dell'art. 3 della legge  24  novembre
1981, n. 689) anche il disposto dell'art. 12 della legge regionale n.
15 del 2008 che esclude la responsabilita'  per  sanzioni  pecuniarie
del committente che  risulti  estraneo  all'abuso  (in  coerenza  con
quanto previsto dall'art. 29 decreto del Presidente della  Repubblica
6 giugno 2001, n. 380) con conseguente inapplicabilita' dell'art. 22.
In via subordinata si sostiene che l'obbligazione avente a oggetto il
pagamento dell'oblazione sarebbe  prescritta,  dovendosi  in  materia
applicare la prescrizione quinquennale e decorrendo la  stessa  dalla
data dell'accertamento della doppia conformita' (nella specie  il  15
aprile 2011). 
    In via  di  ulteriore  subordine  la  ricorrente  denuncia  sotto
diverso profilo l'errata applicazione del citato art.  22,  comma  2,
lettera a), della legge regionale sostenendo  l'illegittimita'  della
oblazione cosi' come calcolata (in pratica  l'amministrazione  si  e'
basata sul valore al mq. indicato dall'agenzia delle entrate  che  e'
stato ridotto al 50% per tener conto che l'immobile non  e'  completo
ma si trova «al rustico»);  ad  avviso  della  ricorrente  il  valore
riferito a un immobile in normale  stato  manutentivo,  come  stimato
dall'agenzia delle entrate, avrebbe dovuto essere ridotto non al  50%
ma al 25% al fine di tener conto dell'ingente costo  delle  opere  di
completamento dell'immobile  che  sarebbero  necessarie  al  fine  di
renderlo abitabile. 
    Oltre che privi di  presupposto  (non  sussistendo  l'obbligo  di
corrispondere  l'oblazione)  i  provvedimenti  che  hanno  negato  la
sanatoria e disposto la demolizione sarebbero inoltre illegittimi per
violazione del termine per la conclusione del procedimento ex art.  2
della legge 7 agosto 1990, n. 241. 
    Infine si contesta da un lato la pertinenza del richiamo all'art.
27 decreto del Presidente della Repubblica n. 381 del 2001  da  parte
dell'ordine di demolizione  e  dall'altro  la  previsione  recata  da
quest'ultimo secondo cui all'inottemperanza seguirebbe l'acquisizione
dell'immobile e dell'area di sedime  al  patrimonio  comunale;  sotto
quest'ultimo profilo la ricorrente richiama la  previsione  dell'art.
15  della  legge  regionale  n.  15  del   2008   che   esclude   che
l'acquisizione possa avvenire a danno del proprietario  che  non  sia
responsabile dell'abuso. 
    La ricorrente conclude quindi chiedendo l'annullamento degli atti
impugnati e la condanna del comune alla restituzione della somma  che
illo tempore ella ha  versato  a  titolo  di  oneri  concessori,  coi
relativi accessori. 
    Il Comune di Roccasecca si e' costituito in giudizio e resiste al
ricorso. 
    Con ordinanza n. 3 del 12 gennaio  2017  la  sezione  ha  fissato
l'udienza di discussione del merito ex art. 55, comma 10, c.p.a. 
    Il ricorso non e' maturo per la decisione. 
    Il Collegio  infatti  dubita  della  legittimita'  costituzionale
della norma regionale regolante la fattispecie,  cioe'  dell'art.  22
della legge regionale 11 agosto 2008,  n.  15  e  ritiene  quindi  di
sollevare d'ufficio la questione di  legittimita'  costituzionale  di
tale norma e, in particolare,  delle  previsioni  del  secondo  comma
(lettera a) in punto di determinazione  della  misura  dell'oblazione
occorrente ad ottenere il cd. accertamento di conformita'. 
    Per quanto concerne il  profilo  relativo  alla  rilevanza  della
questione, essa sussiste poiche' nella fattispecie sono impugnati  un
diniego di accertamento di conformita' basato sull'applicazione della
norma dell'art. 22  (e  in  particolare  della  norma  che  determina
l'oblazione in misura pari  al  valore  delle  opere  abusive)  e  il
conseguente ordine di demolizione  e  si  controverte  in  definitiva
dell'obbligo  di  corrispondere  l'oblazione  e  della  sua   misura,
pretendendo il comune resistente una somma calcolata in base al comma
2 lettera a) dell'art. 22 citato (cioe' - lo si ripete  -  il  valore
dell'opera abusiva, laddove la norma statale dell'art. 36 decreto del
Presidente della Repubblica  n.  380  prevede  un'oblazione  pari  al
doppio degli ordinari oneri concessori) e negando la  ricorrente  che
tale disposizione si applichi alla fattispecie ovvero e in  subordine
che la disposizione in questione sia stata correttamente applicata. 
    Al riguardo va puntualizzato che la giurisprudenza  ritiene  che,
ai fini della  sussistenza  della  «rilevanza»  della  questione  nel
giudizio   amministrativo   impugnatorio,    sia    necessario    che
l'applicazione della norma sia chiamata in causa da uno  o  piu'  dei
motivi dedotti; solo in  tal  caso  ricorre  la  condizione  che  «il
giudizio  non   possa   essere   definito   indipendentemente   dalla
risoluzione della questione  di  legittimita'  costituzionale»,  come
richiesto dall'art. 23, comma 1, lettera  b)  della  legge  11  marzo
1953, n. 87. 
    Nella fattispecie questa  condizione  si  verifica  dato  che  la
ricorrente contesta specificamente l'applicabilita' della  previsione
della disposizione dell'art. 22, comma 2, lettera a) citato nei  suoi
confronti.  In  altri  termini  la  risoluzione  della   controversia
presuppone necessariamente  l'applicazione  dell'art.  22  ponendo  i
motivi proposti la questione della sua  applicabilita'  e/o  corretta
applicazione alla fattispecie. 
    Per quanto  concerne  il  profilo  relativo  alla  non  manifesta
infondatezza della questione, il Collegio ritiene che la disposizione
dell'art. 22, comma 2, citata presenti piu' d'un profilo di possibile
incostituzionalita'. 
    Un  primo  profilo  riguarda  la  conformita'  della  norma  alle
disposizioni costituzionali che riservano in via esclusiva allo Stato
la competenza legislativa in  materia  penale  (articoli  25  e  117,
lettera l). 
    Il rilascio del permesso di costruire  in  sanatoria  costituisce
infatti in base all'art. 45, comma 3, decreto  del  Presidente  della
Repubblica  n.   380   citato   causa   di   estinzione   dei   reati
contravvenzionali  previsti   dalle   norme   urbanistiche   vigenti;
precisamente la causa di estinzione del reato non e'  costituita  dal
mero pagamento dell'oblazione nella misura prevista ma  dal  rilascio
del  permesso  che  presuppone:  a)  la  verifica  della  conformita'
dell'opera alla normativa urbanistica di  riferimento  sia  al  tempo
della commissione dell'abuso che al tempo della sanatoria (cd. doppia
conformita'); b) il pagamento dell'oblazione. 
    La circostanza che l'accertamento di conformita' costituisca  una
causa estintiva di reato implica la riserva allo stato della relativa
regolamentazione in forza delle norme costituzionali dell'art.  25  e
dell'art. 117, lettera l). 
    Al riguardo va  sinteticamente  rilevato  che  la  giurisprudenza
della  Corte  costituzionale  e'  orientata  a   ritenere   che   «la
legislazione regionale - pur non potendo costituire fonte  diretta  e
autonoma  di  norme  penali,  ne'  nel  senso  di  introdurre   nuove
incriminazioni,  ne'  in  quello  di  rendere   lecita   un'attivita'
penalmente  sanzionata  dall'ordinamento  nazionale   ...   -   puo',
tuttavia, "concorrere a precisare, secundum legem, i  presupposti  di
applicazione  di  norme  penali  statali",  svolgendo,  in   pratica,
"funzioni analoghe a quelle che  sono  in  grado  di  svolgere  fonti
secondarie statali": cio', particolarmente quando  la  legge  statale
«subordini  effetti  incriminatori  o   decriminalizzanti   ad   atti
amministrativi (o legislativi)  regionali»  (il  riferimento  e',  in
particolare, alle cosiddette norme penali in bianco: sentenze  n.  63
del 2012 e n. 487 del 1989)» (cosi'  Corte  costituzionale  13  marzo
2014, n. 46). 
    Nella fattispecie viene in rilievo una norma regionale che regola
in  modo  piu'  restrittivo  una  causa  di  estinzione   del   reato
disciplinata dalla legge statale (consistente, in  base  all'art.  45
decreto del Presidente della Repubblica  n.  380,  nel  rilascio  del
permesso a sanatoria in base  al  precedente  art.  36)  intervenendo
sulla misura dell'oblazione che viene sensibilmente  elevata,  almeno
di regola; non si  tratta  quindi  di  norma  penale  in  bianco;  in
sostanza la norma regionale nel caso  in  questione  non  pare  avere
«funzioni analoghe a quelle che  sono  in  grado  di  svolgere  fonti
secondarie statali» ma modifica - restringendone l'ambito  (o  meglio
ancora rendendo piu' oneroso l'accesso a) - una causa  di  estinzione
del reato prevista dalla normativa  statale.  Di  qui  il  dubbio  in
ordine alla compatibilita' della previsione con la riserva statale in
materia di leggi penali, prevista dagli articoli 25  e  117,  lettera
l), C. 
    In una fattispecie che presenta elementi di somiglianza a  quella
all'esame la Corte costituzionale ha ritenuto che violasse la riserva
di  legge  statale  in  materia  penale  una  disposizione  di  legge
regionale che prevedeva  condizioni  piu'  favorevoli  rispetto  alla
normativa statale ai fini dell'estinzione del  reato  di  costruzione
abusiva  (in  pratica  modificava,   ampliandola,   la   nozione   di
ultimazione  degli  edifici  abusivi  dell'art.  31  della  legge  28
febbraio 1985, n. 47, cosi' dilatando l'ambito del condono edilizio e
quindi ampliando l'ambito di applicazione  della  relativa  causa  di
estinzione del reato); in quell'occasione la Corte espresse  l'avviso
secondo cui  "la  previsione  di  cause  d'estinzione  del  reato  e'
riservata alla legge statale, in  quanto  a  quest'ultima  spetta  la
potesta'   incriminatrice;   ...   alla   stessa    legge    compete,
conseguentemente, individuare le situazioni alle quali  si  applicano
le citate cause; ... pertanto, l'ambito  delle  predette  situazioni,
individuato in una legge statale,  non  puo'  esser  illegittimamente
esteso o ristretto ad opera di leggi regionali" (Corte costituzionale
25 ottobre 1989, n. 487). 
    Va poi aggiunto che il Collegio ritiene che la  previsione  della
legge   regionale   presenti   ulteriori   profili    di    possibile
incostituzionalita' sotto il profilo del rispetto  del  principio  di
uguaglianza e di ragionevolezza. 
    Sotto un primo  profilo,  va  rilevato  come  la  previsione  per
l'accertamento  di  conformita'  di  un'oblazione  pari   al   valore
dell'opera eseguita implichi che la sanatoria di un immobile eseguito
senza titolo ma «sostanzialmente» legittimo abbia un costo identico a
quello della sanatoria di opera eseguita in base a un titolo che  sia
stato annullato quando non sia possibile «la rimozione di vizi  delle
procedure amministrative o il  ripristino  dello  stato  dei  luoghi»
(cioe' quando il titolo annullato sia  «sostanzialmente»  illegittimo
nel  senso  che  l'opera  non   risulti   conforme   alla   normativa
urbanistico-edilizia); in quest'ultimo caso, infatti, l'art. 20 della
legge regionale n. 15 del 2008 citata prevede  il  pagamento  di  una
«sanzione pecuniaria» pari al valore dell'opera eseguita. 
    In pratica nella Regione Lazio l'accertamento di  conformita'  e'
subordinato in base all'art. 22 della  legge  regionale  n.  15  alla
doppia conformita' dell'opera abusiva e al pagamento di  un'oblazione
pari al valore  di  mercato  dell'opera  eseguita;  la  sanatoria  di
un'opera eseguita in base a titolo annullato, invece,  presuppone  il
pagamento di una «sanzione pecuniaria»  pari  al  valore  di  mercato
dell'opera eseguita e tale pagamento produce gli effetti del permesso
di costruire a sanatoria (cioe' dell'accertamento di conformita'). 
    Il che significa che (al di la' della diversa  qualificazione  di
quanto occorre pagare dato che in un caso si  parla  di  oblazione  e
nell'altro di sanzione pecuniaria)  la  sanatoria  di  un  intervento
conforme  alla  normativa   urbanistico-edilizia   sia   al   momento
dell'edificazione che a quello del rilascio del titolo ha  lo  stesso
costo della sanatoria di un intervento non  conforme  alla  normativa
urbanistico-edilizia; cio' appare porsi in contrasto con il principio
di uguaglianza e di ragionevolezza. 
    Sintomatico e' il confronto con  la  normativa  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380; la previsione dell'art. 20  della
legge regionale n. 15 e' infatti sostanzialmente  identica  a  quella
dell'art. 38 del decreto del Presidente della Repubblica  n.  380  ma
quest'ultimo  si  inserisce  in  un  sistema  in  cui  la   sanatoria
dell'opera abusiva ma sostanzialmente legittima (cioe'  «l'ordinario»
accertamento  di  conformita'  come   regolato   dall'art.   36)   e'
subordinata a un'oblazione pari al doppio degli oneri concessori.  In
definitiva la legge regionale n. 15  del  2008  «riprende»  in  larga
misura  le  previsioni  della  normativa  statale  del  decreto   del
Presidente della Repubblica n. 380 e  comunque  si  ispira  in  larga
massima al  medesimo  schema  di  repressione-sanzione  del  fenomeno
dell'abusivismo edilizio; in questo contesto la modifica della misura
dell'oblazione prevista  per  l'accertamento  di  conformita',  fermo
restando il mantenimento dello schema della  legge  statale,  finisce
con il risolversi in un elemento  di  grave  incoerenza  del  sistema
valevole nella Regione Lazio. 
    Vi e' infine un altro aspetto da considerare ed e'  quello  della
previsione  di  un'identica  oblazione  sia   per   il   responsabile
dell'abuso che per  il  proprietario  che  all'abuso  sia  del  tutto
estraneo. 
    Va  premesso  che  la  circostanza  che   il   proprietario   non
responsabile dell'abuso acceda all'accertamento di  conformita'  alle
stesse condizioni  del  responsabile  dell'abuso  e'  alla  luce  del
disposto normativo incontestabile; l'art. 22  della  legge  regionale
prevede  infatti  che  l'accertamento  di  conformita'  possa  essere
chiesto dal responsabile dell'abuso «nonche'  dal  proprietario,  ove
non coincidente con il primo». La medesima  equiparazione  del  resto
ispira anche l'art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica n.
380 che parimenti prevede che la sanatoria possa essere richiesta dal
responsabile dell'abuso o dall'attuale proprietario. Tra  l'altro  da
cio' deriva l'impossibilita' di  aderire  alla  tesi  proposta  dalla
ricorrente, che  in  ultima  analisi  sostiene  che  il  proprietario
estraneo all'abuso potrebbe ottenerne la sanatoria - ove sussista  la
cd. doppia conformita' - corrispondendo semplicemente gli  (ordinari)
oneri concessori. Cio' significherebbe  sostenere  che  la  procedura
dell'accertamento di conformita', come introdotta dall'art. 13  della
legge 28 febbraio 1985, n. 47, poi trasfuso nell'art. 36 decreto  del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,  n.  380  (e  disciplinato
nella regione Lazio dall'art. 22 della  legge  regionale  n.  15  del
2008), si applichi al solo responsabile dell'abuso (che  sia  o  meno
anche il proprietario) e che per il proprietario non responsabile  vi
sarebbe la possibilita' di ottenere  un  titolo  in  sanatoria  senza
corresponsione di oblazione; si tratta  pero'  di  un'interpretazione
contra legem e che si risolverebbe in una parziale abrogazione  delle
norme disciplinanti l'accertamento di conformita'. 
    Posto dunque che il proprietario non responsabile dell'abuso puo'
conseguirne la sanatoria  alle  stesse  condizioni  previste  per  il
responsabile (cioe' corrispondendo  l'oblazione  in  misura  pari  al
valore delle opere),  puo'  rilevarsi  che  l'equiparazione  prevista
dall'art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica  n.  380  si
inserisce in un sistema che prevede  un'oblazione  che  risulta  pari
agli oneri concessori, nel senso  che  il  rilascio  del  permesso  a
sanatoria  e'  subordinato  al  pagamento  del  doppio  degli   oneri
concessori  nel  caso  di  interventi  soggetti  a  contributo  e  al
pagamento  degli  oneri  concessori  nel  caso  di   interventi   che
ordinariamente (o meglio se eseguiti  in  base  a  titolo  rilasciato
preventivamente) non  vi  sarebbero  soggetti.  Tale  sistema  appare
giustificato nell'ottica di  un  bilanciamento  tra  l'interesse  del
richiedente ad  ottenere  la  sanatoria  di  un  intervento  comunque
«sostanzialmente» legittimo (perche'  la  sanatoria  e'  possibile  a
condizione che sussista la  cd.  doppia  conformita')  e  l'interesse
pubblico  a  che   la   verifica   della   legittimita'   sostanziale
dell'intervento (cioe' della conformita' del progetto alla  normativa
urbanistico-edilizia) sia compiuta dai pubblici poteri prima che esso
sia concretamente eseguito. 
    In questo sistema l'oblazione non e' una sanzione in  cui  rilevi
l'elemento soggettivo, trattandosi di una somma che viene corrisposta
volontariamente (la sanatoria e' infatti richiesta  dall'interessato)
al fine di regolarizzare una situazione obiettivamente antigiuridica;
nello stesso tempo il meccanismo normativo basato  sulla  uguaglianza
di condizioni di accesso alla sanatoria (e all'estinzione  del  reato
che ne consegue) serve anche a sgravare l'amministrazione dal compito
di procedere a una verifica delle responsabilita'  nella  commissione
dell'abuso che potrebbe anche  risultare  complessa  (e  tra  l'altro
questa complessita' di accertamenti nemmeno sarebbe  compatibile  con
il breve termine di sessanta giorni previsto per il completamento del
procedimento). 
    La disposizione della Regione Lazio che commisura l'oblazione  al
valore  delle  opere  abusive  altera  questo  schema,   introducendo
un'oblazione sensibilmente piu' elevata rispetto  a  quanto  previsto
dalla norma statale; cio' in definitiva finisce con  l'attribuire  di
fatto all'oblazione una funzione spiccatamente  sanzionatoria  (quasi
trasformandola  in  una   sanzione   alternativa   alla   demolizione
applicabile  a  richiesta   dell'interessato),   come   dimostra   la
circostanza che  l'oblazione  e'  fissata  in  misura  identica  alla
sanzione  pecuniaria  dovuta  in  caso  di  sanatoria  di  intervento
sostanzialmente  illegittimo  in  base   all'art.   20.   E   sarebbe
formalistico opporre  che  non  si  tratta  di  sanzione  perche'  la
sanatoria e' chiesta dallo stesso interessato che e' libero quindi di
decidere se ottenerla alle  condizioni  normativamente  previste;  in
realta'  -  considerato  che  l'alternativa  alla  sanatoria  e'   la
demolizione - la liberta' di determinarsi sulla sorte  dell'opera  e'
piu' apparente che reale, dato che - venendo in rilievo un'opera che,
ancorche' abusiva, e' conforme alla normativa urbanistico-edilizia  -
la scelta tendenzialmente  non  potra'  che  cadere  sulla  sanatoria
(avendo ovviamente poco senso demolire l'opera  per  poi  realizzarla
nuovamente dopo aver ottenuto il permesso di costruire). Nel caso  di
proprietario  estraneo  all'abuso  che  abbia  sopportato  il   costo
dell'edificazione (che e' il caso all'esame), entrambe le alternative
si rivelano irragionevolmente - e potrebbe aggiungersi  ingiustamente
-  onerose,  dato  che  nel  caso  di  scelta  per  la   demolizione,
l'interessato  sopporta  i   costi   di   quest'ultima   e   vanifica
l'investimento gia' eseguito, mentre  nel  caso  di  opzione  per  la
sanatoria, e' costretto a un esborso (di valore pari all'investimento
gia' eseguito) che appare sproporzionato in considerazione della  sua
estraneita' all'abuso e del fatto che in ultima analisi si tratta  di
abuso esclusivamente formale. 
    In definitiva il  dubbio  che  e'  determinato  dalla  fissazione
dell'oblazione in misura sensibilmente piu' elevata rispetto a quanto
prevede la norma statale e'  che  questa  misura  -  che  in  pratica
trasforma l'oblazione in una vera e propria sanzione da applicarsi  a
richiesta dell'interessato - rende  irragionevole  la  fissazione  di
parita' di condizioni per l'accesso alla sanatoria secondo  che  essa
venga richiesta dal responsabile  dell'abuso  (che  nella  stragrande
maggioranza dei casi  e'  il  proprietario)  ovvero  da  quest'ultimo
allorche'  egli  risulti  del  tutto  estraneo  all'abuso   (che   e'
indiscutibilmente un'evenienza molto rara ma che  il  caso  all'esame
dimostra non essere impossibile). 
    In conclusione, essendo rilevante e non manifestamente infondata,
va sollevata la questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
22, comma 2, lettera a) della legge regionale Lazio 11  agosto  2008,
n. 15, in relazione agli articoli 3, 25 e 117, comma  2,  lettera  l)
Costituzione. Pertanto il giudizio deve essere  sospeso  e  gli  atti
vanno rimessi alla Corte costituzionale affinche' questa si  pronunci
sulla questione.